“Uomo, sei capace di essere giusto?

E’ una donna che ti pone la domanda; tu non la priverai almeno di questo diritto. Dimmi? Chi ti ha concesso la suprema autorità di opprimere il mio sesso? La tua forza? Il tuo ingegno? Osserva il creatore nella sua saggezza; scorri la natura in tutta la sua grandezza, di cui tu sembri volerti raffrontare, e dammi, se hai il coraggio, l’esempio di questo tirannico potere.”

E’ in questo modo che si apre, con toni di sfida, la Dichiarazione dei Diritti della Donna e della Cittadina di Olympe de Gouges, una drammaturga che vive durante la passionale rivoluzione francese. La sua attenzione letteraria è rivolta al teatro ma questa combattiva donna si dedica con sorprendente convinzione e fervore alla difesa dei diritti delle donne.

Nel Settembre del 1971, rivolgendosi a Maria Antonietta, redige la “Dèclaration des droits de la femme et de la citoyenne”. Il titolo dell’opera fa già capire che si tratta di una imitazione critica della famosa Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. La de Gouges rivendica la parità di uomini e donne affermando all’articolo I della Dichiarazione che “La Donna nasce libera ed ha gli stessi diritti dell’uomo”; la stessa “Nazione” è concepita come “riunione della donna e dell’uomo”.

Il principio dell’uguaglianza dinanzi alla legge, che al giorno d’oggi sembra quasi essersi affievolito, percorre tutta l’opera, costante, chiaro, autoritario. Olympe si occupa addirittura di pubblica amministrazione e di imposte sostenendo, negli ultimi articoli della Dichiarazione, che “Per il mantenimento della forza pubblica e per le spese dell’amministrazione, i contributi della donna e dell’uomo sono uguali”, che “La massa delle donne, coalizzata nel pagamento delle imposte con quella degli uomini, ha diritto di chiedere conto ad ogni pubblico ufficiale, della sua amministrazione”.

Purtroppo il suo stesso spirito combattivo e la sua idealistica lotta la portano a subire pregiudizi, derisioni e la condanna alla ghigliottina (soprattutto per il suo attacco al regime di Robespierre). Ma anche nel momento della fine, secondo varie testimonianze dell’epoca, Olympe sale al patibolo senza alcun timore, con grande coraggio e dignità.

Il maschilismo imperante ha continuato a dipingerla come prostituta per anni dopo l’esecuzione fino alla Seconda Guerra Mondiale quando la sua figura è stata finalmente studiata, discussa e rivalorizzata. Una donna “passata” il cui ricordo non può che inorgoglire ogni donna “moderna”, sensibilizzare e infervorare gli animi.

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